Il mondo imbecille degli idoli si rivela come sapiente assassinio
degli oggetti nonché criminale sistema basato sull'identità. Attori
del proprio ideale e corteggiatori della realtà, sempre più calati
nella quotidianità concreta, fanno a gara per porre le cose come oggetti
della propria manipolazione.
Per una filosofia della semiotica globale, la pittura non sfugge
al reticolo di segni che da un capo all'altro percorrono il mondo. Nella concezione
moderna di "testo", la pittura, come complesso segnico, è scrittura.
La pittura è scrittura che si legge in modo combinatorio e non successivo.
La pittura non è sistema di trasmissione. Lungi dalla
pretesa di riferire l'oggetto, la pittura è scrittura non strumentale,
è scrittura infunzionale, gioco insensato. Ciò che unisce il pittore
al semiotico è lo studio del muoversi del segno nel campo della significanza,
cercando di prevederlo in tutta la sua vastità ed estensione.
L'arte in generale, e la pittura in particolare, sono luoghi
privilegiati del segno iconico. La pittura è disoccultamento del segno
iconico, segno vivo capace di inventiva e innovazione rispetto al morto segno
idolatrico.
Se il mondo degli idoli vuol dare a vedere, dare sempre qualcosa
in pasto all'occhio, la pittura invita, invece, a deporre lo sguardo come si
depongono le armi e a sottrarsi alla signoria dell'organizzazione "logica".
Rimettere in gioco l'oggetto significa rimettere in moto il mondo.
L'arte va sempre al di là dei suoi momenti di servizio.
Per l'artista è venuto il tempo di spezzare la solita routine dell'arte
commerciale e lanciare la pittura in una vita nuova. L'arte non deve aderire
al mondo tutt'al più è la vita a dover seguire la visione
proposta dall'arte.
L'arte pone in stato di sospensione l'ovvietà del mondo
idolatrico e la sua ostentata oggettività, intesa come sistema razionale,
organizzazione rassicurante per dominare e padroneggiare le cose. La pittura
è spazio supposto, gravitazione di segni, e si affaccia su nuovi mondi
possibili altrimenti sacrificati.
Nel perfezionamento continuo del senso e nella delucidazione
infinita della parola, il nome non esaurirà mai l'oggetto. Anche la parola,
benché incaricata di rappresentare, brancola intorno all'idea di significare.
I vocaboli sono insussistenti, se si vuole, paradossali silenzi. È il
limite della lingua. Il senso che sfugge come la tartaruga che sfugge, nel suo
muoversi fissato, all'insistente inseguimento di Achille.
La pittura non è spettacolo, non è un surrogato
della vita ma concezione del mondo. La pittura, avventurosa e di ricerca, disorienta
la conoscenza con associazioni pigre, oltrepassando i ritornelli del passato,
il melodismo corrente, il quadro della rappresentazione.
L'artista evita di produrre la massa, scansa gli effetti d'assieme,
le identità, le unità corporali raffigurando porzioni d'oggetti,
ritagli incompiuti, frammenti di mondo.
L'artista abbandona le certezze dell'ottica ordinaria portandosi
fuori dall'oggetto e dal suo senso immediato. Egli non guarda le cose più
a lungo del dovuto perché esse rimarrebbero inesorabilmente impietrite
come sotto lo sguardo di una Gorgone.
Vita e Arte come alternanza illusoria tra Palingenesi e Apocalisse.
L'arte è fremito di senso (panico nella figura emblematica di Pan), perdita
di controllo, vacillamento e perturbamento di un mondo chiuso orgogliosamente
in se stesso e imbalsamato nell'identità distruttiva, la cui massima
espressione è l'orrenda e schifosissima guerra.
Sarà sconosciuta l'oppressione dell'identità? L'artista
differisce dagli altri uomini perché non conosce tale oppressione. Solo
liberando l'oggetto dal mondo degli idoli e mettendolo al servizio degli inventori
si potrà riconoscere l'identità come una sopravvivenza del vecchio
mondo dell'oppressione, perché il futuro del mondo dipende dalla visione
artistica differita e altra, visione che non procede mai di pari passo
con la contemporaneità.