Testo pubblicato in "Athanor" - Vita (2002), accompagnato da 8 disegni in bianco e nero dal titolo "De-scritture al Suprematismo. Omaggio a Kazimir Malevic".

english version

 

Luciano Ponzio

VISIONE, DE-SCRITTURA, ALTERITA'

Tre tesi su arte e vita

 

"L'idea di una pittura universale, di una totalizzazione della pittura, di una pittura totalmente realizzata,

è un'idea senza senso.

Durasse ancora milioni d'anni, il mondo, per i pittori, se ne resteranno,

sarà ancora da dipingere, finirà senza essere stato conquistato"

(M. Merleau-Ponty, L'occhio e lo spirito)

 

 

La visione / lo sguardo

"Io guardo, e guardare" — scrive Bataille — "richiede la mia presenza pietrificata in questo punto del mondo e la mia condizione di uomo riporta ognuna delle verità sensibili da me riconosciute all'errore del suolo fisso, all'illusione di un fondamento immutabile".

Lo "sguardo" riproduce l'"immagine intellettualizzata del mondo" (G. Bataille) e tende a "identificare", "nominare", "pietrificare", "mortificare" l'oggetto in un determinato, in un pre-scritto e, pur sempre, riduttivo contesto: "l'errore del suolo fisso".

Guardare significherebbe non riuscire a vedere — un abbaglio dovuto proprio a questo accanirsi a "far luce" — nient'altro che l'oggetto inserito e sommerso nel "monotono ordinamento degli utensili", procurandosi di conseguenza una sorta di cecità nei confronti di una caratteristica eccedente dei segni (cioè la loro valenza iconica nell'accezione di Peirce) per la quale il loro senso e valore restano autonomi e irriducibili alla rappresentazione che ne abbiamo, all'interpretazione che ne diamo e alla "realtà" a cui stabiliamo di assegnarli.

Sottrarre "l'oggetto al mondo delle cose", al mondo già dato, significa de-responsabilizzare l'opera artistica dall'obbligo di "valutare oggetti" definendoli e afferrandoli concettualmente sulla tela.

I contenuti di questa vita sono "la carità che si offre all'artista" (K. Malevic).

L'arte non è di questo mondo, anche se intensamente in questo mondo vive, e non si lascia rinchiudere in questo periodo storico che la limiterebbe e ne ridurrebbe la forza del suo atto a un tempo piccolo.

Non c'è una visione unitaria della realtà ma l'"artista ne ha una, l'ingegnere un'altra, lo scienziato una terza, il prete una quarta, e così via" (come direbbe Malevic).

Una visione "ottusa" (R. Barthes), interdisciplinare/indisciplinare fra produzioni artistiche e/o extra-artistiche contribuisce a creare traduzioni tra linguaggi differenti, fra rapporti di segni (semiosi).

La "visione" opera con segni indipendenti dalla realtà e tende a "farsi un'ottica" (P. Cézanne) altra rispetto a quella del codice di riconoscibilità e conferma della ragione.

La visione artistica si orienta verso un affrancamento dal visto, dal vissuto, dal fatto, dal precostruito, dall'artefatto senza alcune limitazioni ordinarie, pre-scritte.

I segni pittorici s'innestano nella tela regolare della vita con un loro specifico "distanziamento", grande o piccolo che sia, "distanziamento", se necessario, "abbastanza violento", "che possa rendere" — dice Leiris — "una rappresentazione slegata dalle percezioni consuete secondo cui, nell'esistenza comune, si smette — o quasi — di vedere questa realtà, offrirne una rappresentazione spiazzante, situata al di fuori delle abitudini che spengono lo sguardo".

I segni pittorici (come dei breaks pittorici) potrebbero essere paragonati ai breaks del mondo jazzistico (M. Leiris) che si distanziano dal brano (pur attenendosi ad esso) per creare un effetto differito indebolendo l'impatto musicale ma accrescendone la risonanza.

 

De-scrittura / descrizione

La pittura non vuole riprodurre, non ha modelli da rappresentare o storie da narrare (G. Deleuze) e non è "arte di raccolta" (K. Malevic) ma lavoro di traduzione (e non di trascrizione), di de-scrittura (e non di descrizione), linguaggio creativo ricco di infinite possibilità, combinazioni e interferenze tra segni differenti e altri rispetto ai codici del dominio e della globalizzazione.

Un linguaggio inteso come congegno creativo capace di produrre "un numero infinito di mondi possibili" (Leibniz).

La pittura s'è liberata da ogni funzione di "reportage" (F. Bacon), ha smesso di "far 'trasparire' il mondo sulla tela" (G. Bataille); essa si è emancipata dalla "servitù che le veniva imposta dalla società organizzata, e che la subordinava al soggetto rappresentato" in cui "il valore di un quadro consisteva nella forza che dava a ciò che voleva dire" (G. Bataille).

Sicché è necessario ricorrere a qualcosa che non sia una trascrizione pressoché "fotografica" ma sviluppare i propri tipi di raffigurazione.

All'idea di "ritrarre una donna" e di rappresentarne la "naturale bellezza", Braque dichiara di non esserne capace, aggiungendo che nessun altro (nessun artista) è in grado di farlo, per la semplice ragione che l'artista si trova nelle mani strumenti altri dal reale, e non può che creare "un nuovo genere di bellezza" che appare in termini di volume, di linea, di massa, di peso (F. Menna).

La visione di un'arte che non fa più parte del mondo della rappresentazione, né che è la sua rappresentazione, fa sì che l'arte non rifletta più la realtà come in uno specchio in cui ci si possa tranquillamente mirare o appagare.

L'arte supera la vita ponendola in continua discussione e la interroga in un dialogo serrato.

La pretesa di "rendere il visibile" rassicura e tranquillizza. Invece l'opera pittorica ha la capacità di ossessionare il "mondo degli oggetti", d'inquietare la vita e di rompere la monotonia di qualsiasi muro al quale è appesa — restando sospesa e non fissata —, proprio per la sua forte propensione strutturale all'icona, al "figurale" (G. Deleuze), alla somiglianza, al differimento.

 

Alterità / identità

La pittura non rende i corpi, non rende i paesaggi, non rende la luce.

La pittura è resa dell'identità, ne è la parodia: qualcosa che "somiglia" alla vita ma non la identifica!

Ritrae ritraendosi: la somiglianza come autoritrarsi nella resa dell'altro, all'altro. "La divinità dell'artista sta nella sua appartenenza a una extralocalità suprema" (M. M. Bachtin) e situa la propria attività di ricerca fuori dalla contemporaneità.

L'artista è colui che differisce, che non resta prigioniero dell'attuale, colui che "non soltanto dall'interno partecipa alla vita (pratica, sociale, politica, morale, religiosa) e dall'interno la comprende, ma che anche l'ama dal di fuori, in un'attività extralocalizzata e avulsa dal senso" (Bachtin).

Per deformare o alterare "un ordine convenuto" e cogliere sulla tela degli effetti differiti di somiglianza, l'artista guarda la vita non in maniera diretta, immediata, frontale, ma si distanzia dal mondo già dato e, senza rimanervi indifferente, potrà vincere tutto ciò che, altrimenti, lo omologherebbe, circoscriverebbe, che ne ridurrebbe la forza, la creatività artistica espressiva, così come lo sguardo indiretto di Perseo, attraverso il riflesso dello scudo, vinse la pietrificazione di Medusa.

Il distanziamento da ogni contesto — secondo le indicazioni di Bachtin — comprende anche l'affrancamento dell'opera dal vincolo stretto, immediato, "ovvio" dell'autorità dell'autore.

Come afferma anche Picasso, "spesso il quadro esprime molto di più di quello che l'autore voleva rappresentare" e "l'autore contempla stupefatto i risultati inattesi, che non ha previsto".

"Il pittore è l'unico ad avere il diritto di guardare tutte le cose senza alcun obbligo di valutarle" e si pone nei confronti delle cose come se le vedesse per la prima volta, come "viste da un essere di un'altra specie" (M. Merleau-Ponty) — Monet avrebbe confidato ad un giovane pittore il desiderio di nascere cieco, per non conoscere nulla degli oggetti, e recuperare di colpo la vista per ritrovarsi vergine di fronte alle apparenze — per poter raffigurare l'alterità della vita, superando e rinnovando l'universo quotidiano, abituale, familiare e l'intera vita stessa.

L'atto artistico, l'opera, vive in un tempo grande e guarda a uno "stesso" fenomeno nelle sue molteplici tonalità, accentuazioni e risonanze oltre le omologazioni e oltre le illusorie e distruttive differenze identitarie.

I segni di differenza hanno un evidente carattere distruttivo, la cui massima espressione è la guerra.

L'idea — utopica — è quella dello spostamento verso una Babele felice, in un mescolamento delle differenze in cui esista non una sola parola, un solo linguaggio, una "Neolingua" (per usare l'espressione letteraria di Orwell in 1984) ma una produzione infinita di nuovi linguaggi capaci di differimento.

L.P.

Bologna, 2002

 

differimento.altervista.org - All Artworks by Luciano Ponzio 1999-2006 - All Rights Reserved - Use by Permission Only