Testo accompagnato da Sortie. Dépassement de l'Art sotto il titolo comune Detrascrizioni, e pubblicato in "PLAT, Quaderni del Dipartimento di Pratiche Linguistiche e Analisi dei Testi" dell'Università degli Studi di Bari , 2006, pp. 305-309.

english version

 

Luciano Ponzio

DO NOT COVER

Il pavimento può essere soffitto?

 

Marc Chagall, Le Fou qui vend la Sagesse, 1927-30

 

"Malevic che come tutti gli altri artisti bolscevichi,

aveva lavorato per rappresentare la grandezza di Lenin in

un modello per il suo monumento, mostrò orgogliosamente un

enorme piedistallo formato da una massa di

strumenti e di macchine agricole e industriali.

In cima a tutto c’era la “figura” di Lenin: un semplice

cubo senza nessuna particolare indicazione.

“Ma dov’è Lenin?” chiesero i giudici all’artista. Con

aria offesa egli indicò il cubo: chiunque di loro avrebbe

potuto vederlo, se avessero avuto un’anima, aggiunse. Deve

esserci una reale immagine di Lenin (così ragionavano), se

ad essa dovrà ispirarsi anche un semplice contadino".

(Anonimo, in “Art News”, 5 aprile 1924)

 

 

Bada, artista, il mondo incomincia ad attirarti!

Tutta l’arte del mondo è ancora in attesa dietro le quinte della rappresentazione. Se t’invaghisci del mondo degli oggetti non riuscirai a occuparti d’altro. Non trasformarti in uno di quegli esseri strani, che spesso capitano in questo insensibile mondo, e a cui l’arte piena di vita guarda con estremo terrore, perché questi le sembrano tombe di pietra o cadaveri ambulanti. Tutto ciò che sprizza entusiasmo nell’artista si rattrappisce nell’uomo!

Il consumismo ha privato gran parte degli uomini trasformandoli in brutti e stupidi automi adoratori/adulatori di feticci! L’artista non riesce più a dormire. La sua mente non si stanca di riflettere e inventare pur di uscire dalle trame di questa specie di congiura.

E che hanno tanto da guardare quelli!? Il tempo dei quadri è passato! Non è mica per il pubblico che l’artista dipinge!

Ammiratori, visitatori, contemplatori, ognuno si entusiasma a proprio modo: quello, obeso di cultura, mostra col dito; quelli, prendendosi in giro, si fanno reciproche caricature; quell’altro, poggiando semplicemente l’occhio sulla tela, cerca solo un posto dove poter sbadigliare; quell’altro ancora, prova ad impicciarsi nei discorsi della gente che, a loro volta, parlano commentando ciò che guardano.

La rappresentazione ingombrante s’intromette nelle fila dell’arte.

Oggetti rappresentanti, oggetti fruibili, autoreferenziali, accessibili, utilizzabili e consumabili in un battibaleno: “Bene e in fretta!”. Questa è la richiesta della gente frettolosa, impegnata, affaccendata,  psicosomara. Gli altri facciano pure i soldi! Mercanteggiare e trattare il prezzo (a partire dal valore della cornice!). Soddisfatti dei quadri dal contenuto elevato (dai corsetti ai frac alle uniformi), tanto noble da poterli appendere orgogliosi alle pareti (generali con la medaglia o principini a cavallo). Ma per carità, non come quel pittore poco noto (tale Kazimir Malevic) che si mette a dipingere contadini in camicia: quei servi che gli impastano i colori!

Oggigiorno, il pittore alla moda,  ammaliato e lusingato, dipinge di mala voglia, abbozza alla meno peggio,  in una vita dissipata, recitando il ruolo di uomo di mondo, ma allontanandosi dall’attività artistica di ricerca. Ogni sua immaginazione scompare e il tocco del pennello si chiude in forme monotone, fisse e logore come volti eternamente ritoccati che non offrono più campo all’impossibile espressione di quell’insolito tacere di una pittura afasica, una pittura incapace di parlare, di riconoscere i simboli della lingua scritta e orale, una pittura che sa contorcere se stessa priva di lingua.

La rappresentazione lascia immobili gli spettatori affascinati, un’apparenza che tuttavia non incanta l’artista rispetto al resto dell’umanità, umanità alla quale sembra che, dopo aver trascorso un’intera vita dalle abitudini ordinarie, non resti altro che il pensionamento come meritato conferimento per raggiunta incapacità –  ennesimo tentativo per celebrare la mediocrità!

Che si tragga ora o mai più la vita fuori dal fango! La riflessione artistica si schiera contro ciò che conferma e conforma l’assunzione corrente circa il processo di ripetizione della creazione moderna in potere d’una certa ideologia autoritaria e logocentrica. Essa, d’altro canto, ricerca un linguaggio  in cui esprimere la magia del mondo, la vita celata degli oggetti, al di là di ogni funzionalità. Uomini al passo coi tempi: non altro che spregevoli  inneggiatori del progresso e codardi divinizzatori del consumismo!

Viva gli artisti-scrittori,  poeti e sognatori,  abbasso i docenti-tecnici di laboratorio! La scrittura dipinta tenta incessantemente di abbassare il livello economico dello stato delle cose,  e si rifiuta d’essere ri-formata, educata e istruita dall’istituto dell’alta cultura in forme codificate alla maniera imparaticcia. Qui non c’è pittura che possa rivendicare il proprio diritto di esistere come scrittura!

Nell’età della posatezza, il pittore inebriato, si è spento, abbottonato nell’impegno elevato.  Pittore alla moda dai ritratti di dame ritoccate e cavalieri di stato,  la tua mano rozza e abitudinaria è quella di un automa grossolano, piuttosto che un essere umano! I tuoi colori strillano di troppa verità, e tu mostri l’incapacità di un certo slancio nel vano tentativo di rincorrere sulla tela gli effetti di luce. La tua, non è più ipotesi di scrittura dipinta per vocazione, ma secca pittura in una certa maniera fattasi abitudine.

Salta fuori dagli affetti in fiamme, abbandona gli oggetti familiari, nemici dell’arte e feccia delle identità,  i soliti amici,  vecchi  amori e parenti cari, insieme alle consuete e ripetitive abitudini, e fai precipitare ancora una volta te stesso là dove più di un eremita già s’immerse nel vivaio dell’arte. Sostieni l’estraneità del visionario solitario, pellegrino per i mondi, ovunque, purché straniero, non-conformato, sempre eccedente e originale sul piano artistico, in un’arte incommensurabilmente visionaria, bizzarra, delirante, dall’espressione allucinata, capace di alterare profondamente le proporzioni, di far colare i colori della “realtà” e che sa illimitare infinitamente gli effetti del mondo rispetto alla riproduzione immutabile e sublime.

Sai bene ormai che la scrittura non rende parole o immagini che se ne vanno, che scorrono, che volano e passano via, immediatamente consumabili; bensì parole e immagini orientate al limite del “testo che fa testo”. La scrittura si dispiega come gioco insensato, senza trama e senza finale, e oltrepassa infallibilmente ogni regola, sempre nell’atto di trasgredire, di invertire, sovvertire tale regolarità.

La scrittura dipinta è forse il luogo più antico di disobbedienza della scrittura dalla trascrizione, del segno scritto dalla vile funzione mimetica. L’infedeltà della scrittura dalla semplice trascrizione (mnemotecnica nel caso della calligrafia), l’affrancamento da responsabilità definite, circoscritte e parziali, danno via ad una responsabilità senza limiti, come assoluta manifestazione e non ostacolata espressione dell’uomo in un linguaggio dall’infinito gioco di decostruzione e ricostruzione. Laddove il termine “esecuzione” (pittorica, cinematografica, o letteraria che sia)  oscilla tra distruzione e creazione, si permette alla scrittura sia l’operazione di demolizione del simbolico, sempre ideologicamente filtrato, impregnato di cultura e rappresentazione,  sia l’attuazione di mondi nuovi o possibili. La scrittura dipinta, così come quella letteraria, teatrale, cinematografica e fotografica, si rendono dunque come potenziali espressioni dirompenti nei confronti dei confini del proprio tempo, sollecitandone una innovativa riapertura.

Il piacere della scrittura non sta nella manifestazione o nell’esaltazione del gesto di scrivere; si tratta dell’apertura di uno spazio impossibile in cui il soggetto scrivente non cessi mai di sparire. L’opera il cui dovere era quello di conferire l’immortalità, ha ormai acquisito, come dice Foucault, “il diritto di uccidere, di essere l’assassina anche del suo autore – a cui spetta il ruolo del ‘morto’ nel gioco della scrittura”.

Il testo artistico è un testo sprovveduto, scomodo, faticoso ma con cui bisogna fare i conti. Pertanto, ogni testo artistico sa mostrarsi come l’appello più convincente  e attivo all’ascolto di ciò che è diverso, di ciò che è altro, di ciò che differisce. Intruso, imbucato,  extra, verso cui si prova un senso di fastidio, perché crea disordine, un disturbo a pelle.

Nella rappresentazione vige una omologazione dall’indifferenza dilagante nei confronti della sofferenza altrui, della fame e della sete nel mondo, della pena di morte, delle guerre dell’ideologia dominante, dell’interventismo militare – interventi al servizio di scopi politico-economici confezionati ad arte, detti “chirurgici”, “umanitari” e, udite, udite!, “di pace”, tuttavia niente di peggio che i soliti disonesti ritocchi, lifting o cosmesi della comunicazione e del mercato globale: sacrilegi, delitti, massacri, ciò che non si è mai visto di più terribile a scapito di tutto ciò che è altro. Il rigetto di regole severe basate sull’uniformità e sull’omologazione (attuali le avvisaglie periferiche contro gli ultimi sussulti dell’inevitabile crollo dell’economia francese) sono instancabilmente messi in crisi dall’alterità che differisce e che sa mostrare tutto il proprio odio viscerale per l’“essere integrato”, l’essere immesso nel ciclo di produzione-consumo, al guinzaglio delle regole dell’istruzione e del cosiddetto lavoro – sarebbe bello per tutti alzarsi la mattina e fare il lavoro che si desidera! –, nonché disgusto per questa forma sociale tutta!

Le parole gli morirono sulle labbra. Un punto interrogativo gli si disegnò sul volto. Il ritratto pareva non finito. Spesso gli artisti sembrano abbandonare incompiuti i loro lavori. Pieni di vuoti. Almeno così sembrano agli occhi dei contemplatori. Ma non deve essere così per gli artisti. Tant’è che iniziano un lavoro sempre nuovo. Schizzi iniziati e abbandonati, cosa di cui peraltro non s’accorgono affatto. Ma a che servono? Studi, tentativi, abbozzi se non se ne vedrà mai la fine? Solo a chi li compra, appare un tal crimine inaudito.

Dalla melma della rappresentazione puoi ancora districare il tuo occhio appesantito: sgrana gli occhi! Così che, all’improvviso, la benda possa volar via dai tuoi occhi.

Ora sì che il tuo punto di vista sull’universo è quello giusto!

Bisognoso del sentire doppio nella vita quotidiana e consapevole che solo un’arte diadica, bipolare e ambivalente (nel rapporto dialettico arte/vita, sacro/profano, religioso/blasfemo, lecito/illecito) potrà rendergli una vita nova, una seconda vita,  une renaissance, l’artista, attraverso lo sguardo di un Giano sulla soglia, continuerà, come un folle cosparso di saggezza, ad aprire nuove finestre alla fantasia e all’immaginazione, creando con le proprie mani tutto ciò che gli salterà in mente, attraverso il ritmo amplificato di un linguaggio strepitoso, smisurato e iperbolico.

Dimenticandosi di ogni cosa, l’artista potrà così impugnare il pennello ribelle staccandosene solo come quando ci si risveglia improvvisamente da un bellissimo sogno interrotto. Pur risvegliandosi, tra barlumi di realtà, sonnambulo, e ad occhi aperti – ma come se stesse sognando –, egli continuerà a vegliare su un sogno visionario come se, in mezzo al sogno, ci fosse stato solo un terribile ed imprevisto frammento di realtà.

 

L.P.

Bologna-Bari-Lecce, 2005

 

 

differimento.altervista.org - All Artworks by Luciano Ponzio 1999-2006 - All Rights Reserved - Use by Permission Only