Testo accompagnato da 3 disegni dal titolo "Idee dal Mondo - A war is a war, is a war, is a war...", in "Athanor"- Mondo di guerra, Meltemi, Roma, 2005.

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Luciano Ponzio

SULLA NAVE DEI FOLLI

BENVENUTA FOLLIA!

 

“Non ho nessun nome”, disse una Cosa

“e quando tu mi chiami Questo, - tu guardi

qualche altra cosa e ti distogli da me”

(P.Valéry, Quaderni)

 

Si arrischino i Signori passeggeri del mondo!

Aperte a tutti i venti, si spiegano le tele: si salpa!

 

In un dedalo s’affollano, simultanei e turbolenti, tortuosi pensieri sull’arte e sulla vita. Ai margini un po’ folli della creazione, l’artista coglie somiglianze, metafore disinvolte, spiazza gli oggetti e tenta di fare assumere loro sensi e effetti differiti.

DISSOCIAZIONE DALLA REALTÀ!

Quante risonanze, quanti echi, quante interferenze, quanta polifonia in questo mondo!

Al di là di ogni essere, l’artista è eccezionale – nel senso più stretto del termine; egli è stupefacente eccezione, impasto di fantasia e extraterritorialità, come colore che eccede, “oltremare”, extra, che incanta, colore che non ti aspetti, colore che sorprende tra tutte le etichette di colori, tra tutti i barattoli, colore che differisce rispetto alla gamma cromatica ammessa, alla tavolozza ordinaria, alla struttura pre-scritta, alla dinastia della rappresentazione. L’artista è il solo in grado di poter sostituire gratuitamente tutto il sapere del mondo con una incondizionata visione artistica.

Vagabondando e tra barlumi di realtà, l’artista è un sognatore incapace di cose pratiche: tale è il destino del’artista sognatore! Egli sogna ad occhi aperti e, pur risvegliandosi, come sonnambulo, continua a vegliare sul sogno visionario. Dipinge o scrive senza guardare, senza sapere se forma qualcosa; cieco, la sua mano inoltra il tratto, pre-vede il tocco pur di trovare uno spazio in cui ci si possa esprimere, un vuoto in cui ci si possa situare, una distanza nella quale ci si possa rifugiare non appena lo sguardo padrone vi si rivolga con le sue indubitabili certezze.

Borbotta in uno stretto vis à vis l’artista che, non del tutto schiodatosi dal suolo, spesso crede di trascinare la pittura in direzione della propria visione. Ma l’ultima parola spetta alla pittura che, sempre pronta a offrire mirabili utopie, trasforma immancabilmente l’illusorio point de vue dell’artista; rimasto di stucco, all’artista non rimane altro che schizzare le linee generali, sia pur ancora incerte, di possibili forme di scrittura e di pensiero.

Dalla terraferma, il lettore comune sgrana gli occhi, osserva, benché ancora non comprenda – suo malgrado – il rapporto attivo a cui la pittura e l’arte tutta lo obbligano insonnemente. Impantanato nella rappresentazione e colto da imprevedibili crisi di panico, al malcapitato voyeur non resta, allontanandosi e avvicinandosi senza posa, che cifrare e decifrare la resa che l’arte senza fine gli rende.

La pittura chiede e impone al soggetto umano di spostarsi, di deporre il proprio sguardo, di perdere il controllo in una “società del controllo”, in una società che esercita il controllo sull’ignoto che dà vertigine, al fine di riconsegnare una resa felice, una facilitazione generalizzata e una convivenza di idee anestetizzate che degradano tuttavia il linguaggio, la scrittura in sterili circuiti di comunicazione e informazione – servili dispositivi intenti ad omaggiare e celebrare la rappresentazione di potere.

La pittura, la scrittura dipinta non crea solo segni, ma sa anche come combinarli, sviarli, sfuggirli e farli slittare dalla bruciante manifestazione delle identità, dal modo d’essere del mondo e tenderli verso la raffigurazione differita. Se la pittura è iconica, nel senso che la si può supporre, raffigurare – in quanto essa opera per somiglianza rispetto all’oggetto, richiama altre visioni, stimola per associazioni di idee altre immagini –, è anche vero che è impossibile coglierla nella sua interezza, esprimerla e risolverla entro le partiture della lingua. Poiché complicate e antipatiche alla lingua, l’arte, la scrittura in generale e la pittura in particolare risultano, a parte rare eccezioni, politicamente inservibili.

Affetta dal male acuto della precisione, la lingua, in quanto classificazione delle parole, è abituata a dispensare in modo ordinato le parole in termini. Nel tendere all’estremo dell’insensato desiderio di perfezioni e purezze, la lingua – mera protesi del linguaggio – costringe a dire, a fissare; e, innanzitutto (e a ragione), le occorre un sistema di rappresentazione. E con il suo sguardo a sovranità limitata, la lingua accorre così a nomi mal ritagliati, incollati su rozze immagini rivestite di contenuti come simulazioni e compiacimenti metafisici — non altro che espedienti e trucchi dell’egemonia e supremazia del mondo idolatrico. La lingua affarista tenta incessantemente di isolare le parole, perde il suo tempo a studiarle e a fortificarne pretenziosamente i loro confini.

L’impossibilità di conferire allo sfuggente linguaggio pittorico una lingua che gli sia fedele sta in gran parte nel fatto che ci vogliono almeno tre frasi di lingua moderna per rendere un singolo segno pittorico!

L’esigenza di soffocare e di contraffare con capriccio ogni cosa, ha indotto a confondere le acque dell’arte con la riproduzione della “realtà”, con la rappresentazione esatta del mondo. E il sortilegio della cosiddetta “arte astratta”, a causa del suo carattere abduttivo e avulso dal senso, ha per lungo tempo puzzato di rogo, tanto da essere etichettata, quasi per diffidenza superstiziosa, come “arte dal significato complesso”. Ogni opera che non contiene in sé l’imitazione, che non è votata alla mimesi, alla riproduzione di figure precise e disegnate per far brillare il potere in un anonimo grigiore quotidiano, presuppone sì una scelta evasiva ma soprattutto privilegia determinati tentativi di invasione, di arrembaggio nei confronti della “realtà”: un’arte come attività critica che, solo ponendosi fuori di questo mondo, può iniziare a parlare in pura perdita.

Nella visione artistica vi sono parole senza definizioni, senza oggetti nitidi, senza idoli – la riproduzione non è in suo potere. Qui nessuna parola isolata ha un senso; semmai un’immagine qualsiasi viene condotta al differimento per metamorfosi, per trasmigrazioni. La varietà di gradazioni che viene offerta nell’articolazione sintattica è così ampia che la parola acquista un senso solamente in un’organizzazione, in un sistema, in una lingua, in un congegno di modellazione che opera per esclusione, per amputazione di tutti i possibili straripamenti di significati.

La scrittura, intesa come creazione artistica, lavora in senso contrario alla lingua, in modo che quest’ultima si dimentichi di nozioni e di sensi facenti parte di una rappresentazione quanto mai incapace di sostenerli, una rappresentazione che, sempre più vecchia e decrepita, mendica idoli su cui appoggiarsi. In questo senso, anche la pittura è scrittura. Pittura e scrittura si affascinano e si corteggiano reciprocamente da tempo. Nel tentativo di disegnare con le parole, di fissare un disegno verbale, in Oriente, pittura e scrittura hanno da sempre avuto rapporti (basti pensare al verbo russo “pisat’” che traduce insieme “dipingere” e “scrivere” o alla “pittura acustica” russa “zvùkopis” degli anni dieci-venti).

Il linguaggio artistico, in quanto scrittura, ignora la lingua. E allora ottimo segno è per il poeta non trovare la parola giusta; ottimo segno è pure per il pittore non rendere l’immagine esatta!

Scorrono veloci le parole sotto la penna dell’artista prodigo di incisi, di frasi a effetto e divaganti periodi; un artista disgustato dalla banalità, dal denaro, dai mestieri ripetitivi e che disprezza il volgare imbroglio degli idoli come potere del nostro tempo.

È bene non agire secondo routine. L’artista ha la capacità di indovinare cose che non si stanno cercando, ma che balzano agli occhi grazie al dono della visione artistica che ha i mezzi sufficienti per ascoltare, comprendere e interpretare oggetti solitamente pietrificati nell’autoreferenzialità.

L’artista sconvolge le convenzioni, sa come disturbare le abitudini, è capace di estraniarsi dal tessuto verbale della pagina scritta; e, al lettore che in questo momento sappia abbandonare per un attimo la lingua nella quale questa pagina è scritta, gliela rende ai suoi occhi pittura, scrittura: invenzione critico-utopica specifica di letteratura e arte come architettoniche aperte e inventive che nutrono visioni altre, visioni che non si adagiano e non si lasciano mai definitivamente annegare nel flusso della solita piagnucolosa melodia appassita di uno sguardo mortificante.

Prima della discesa, in previsione di tutte le guerre che potrebbero continuare a scoppiare in futuro, si ricorda ai “signori passeggeri di questo mondo” di non scordare gli oggetti-idoli di cui solitamente v’agghindate, e di ammantarvi nella vostra irrinunciabile identità – non altro che luoghi di nascita civettuosamente abbigliati della ragione occidentale.

Si è fatto tardi. Prego ormeggiatori, per voi è già giunta l'ora di sbarcare a riva... affrettatevi a correre agli affari, agli impegni e alle vostre solite occupazioni!

Pensando a ben altro che a farla finita in uno stile elevato: alzate i tacchi e, tra meno di qualche minuto, tornatevene pure in villa, fra le mura asfittiche color celeste impero del diorama truffatore!

E allora, ben tornati "coi piedi per terra"; ancoratevi pure ai problemi "terra-terra", assicuratevi bene al suolo, fissatevi stretti con cavi, funi e catene a uno o più punti di presa: buon perenne soggiorno!

Frattanto per l'artista non è ancora arrivato questo terribile momento e, portato dal vento e dalle onde, continuerà straordinariamente a navigare senza molo, senza alcun approdo, senza mai fermare l'idea del mondo perché egli stesso è l'artefice della propria vita, e se la crea ogni giorno secondo un nuovo capriccio.

 

L.P.

Bologna-Bari-Lecce, 2005

 

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